"Che cosa resterà di me? Del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?"

(F. Battiato, Mesopotamia, 1989)

Sono stato recentemente, con gli amici di sempre, alla Grotta del Castiglione. Il sentiero attraverso cui vi si accede dalla Via Castello è prima invaso dalla vegetazione e dai rifiuti e dopo fortemente diroccato e punteggiato dai massi che sono soliti staccarsi dalla parete. Questo stesso sentiero appare poi sempre in bilico sul precipizio sottostante ed apre lo sguardo su straordinarie vedute inedite della Marina Piccola. Tuttavia, nonostante l’eccezionalità del percorso, questo è nulla rispetto all’impressione che suscita la Grotta.

Le dimensioni sono quelle di una cattedrale naturale e si ha subito, forte, l’impressione che qui si pratichi un culto ben più antico delle nostre religioni. Si può infatti contemplare il mistero che contiene e sommerge le nostre vite, la storia e le religioni stesse (di cui é la causa prima): il mistero dello scorrere del tempo.

Nella Grotta l’opus reticulatum di romana memoria sorregge costruzioni più recenti, tra cui una cisterna che doveva essere ben utile allorquando l’antro fungeva da riparo contro le incursioni saracene. In un angolo, costruzioni del secolo scorso, le casette di Cerio ripropongono lo stile architettonico caprese in un posto dove qualsiasi stile architettonico sarebbe quanto meno sorprendente. Ancor più sorprendente è il fatto che questi edifici restino in piedi nonostante la caduta dei massi dalla volta e che il loro intonaco resti intatto a testimoniare il passaggio di decine di camminatori, che al termine di una piccola spedizione non priva di avventura hanno inciso il loro nome sulle pareti.

Incidere il proprio nome su un albero o su un muro è cosa che tutti abbiamo fatto, ma, almeno io, sempre pensando con scetticismo alla possibilità che quella firma potesse resistere più di qualche anno. Nelle casette di Cerio le firme resistono tutte e ci raccontano un po’ di storia, la storia delle piccole cose che certo non riempie i libri, ma di cui i libri sono pur sempre pieni.

Se la geologia del luogo ci porta indietro di millenni e se i resti romani e medioevali testimoniano della nostra era, sono le firme sui muri a dare un ritmo ben più incalzante alla cronaca del novecento che si legge nella grotta. Firme di Capresi e non, firme dei giovani soldati americani che fra il 1944 ed il 1945 furono al rest camp di Capri. Tra le tante, ad esempio, la firma di W. J. Peschka che risale al febbraio del 1945 e ci racconta di un soldato di Hoisington, Kansas, paese di tremila anime disperso nel bel mezzo del continente nordamericano.

Dal Kansas alla Grotta del Castiglione attraverso la seconda guerra mondiale, chissá forse lo sbarco in Sicilia o la battaglia attorno a Cassino. In ogni caso un giovane, che possiamo immaginare allora ventenne o trentenne ed ora sotto un metro di terra. E cosa é rimasto del soldato o dell'ufficiale Peschka? Forse figli e nipoti, forse nessuno, forse una casa tranquilla in mezzo al nulla a Hoisington, forse neppure quella, magari Peschka ha avuto una vita lunga, ricca e felice, magari é successo esattamente il contrario. Poi magari é vivo e gode di ottima salute, ma non possiamo saperlo. Sappiamo solo che dal febbraio del 1945, da quando guardò il Mediterraneo a strapiombo sotto di lui, il suo nome resiste inciso nell'intonaco di una stanza, in una grotta quasi inaccessibile del versante meridionale di Capri, insieme a rocce millenarie, muri romani e costruzioni medioevali.

In questo momento siamo sul pianeta in circa sette miliardi a vivere vite parallele che solo occasionalmente si incrociano, lo stesso vale per chi ci ha preceduto e chi ci seguirá. Lasciamo però i frammenti più inaspettati in luoghi dove il tempo procede ad una velocitá diversa e si fa così denso da poterlo vedere scorrere. La Grotta del Castiglione pone tante domande, ma, cosa rara, da anche qualche risposta riguardo al nostro tormentato rapporto con il tempo.

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