Ci sono luoghi che per la loro bellezza, i nostri ricordi, le nostre storie, ci segnano profondamente e per cui proviamo una particolare affezione, un naturale istinto a volerli proteggere da ogni cambiamento, come se fossero la casa dove siamo nati. Potremmo definirli i nostri luoghi dell'anima.
Il mio luogo è sicuramente Marina Piccola.
A Marina Piccola ho passato i primi dieci anni della mia vita, i più belli. Lì è nata mia madre da un'antichissima famiglia di pescatori. Lì mio nonno paterno portava tutte le domeniche il parroco a dire messa e poi lo riaccompagnava in piazza. Lì giocavo tutte le estati con i miei amici: si facevano lunghi giri in canotto, ci si immergeva alla ricerca di gusci di riccio morti e si facevano mille tuffi "per non far finire la schiuma". Si saliva correndo sullo "scoglio delle sirene" e tra le rocce più taglienti per i piedi, si dava la caccia a granchietti troppo furbi per noi. A volte passavo a salutare la zia che insieme a qualche amica era sempre sdraiata a prendere il sole nello stesso posto, una parte di roccia al di sopra della piattaforma con la scaletta per scendere in acqua. Quella roccia, su cui sapevo di trovarla, era per me "lo scoglio della zia". Dopo la veloce chiacchierata si tornava sulla spiaggia con un tuffo e una bella nuotata.
Ma la cosa più bella di tutte era quando mio nonno materno mi portava con la sua barchetta a pescare. Insieme la spingevamo in acqua, passavamo sotto l'archetto naturale e poi si spaziava, in base alle situazioni, in un'area che va dalla Grotta Bianca a Tereta. Gli orari erano o il pomeriggio tardi o la mattina prima dell'alba. Quand'era buio l'immaginazione viaggiava così forte che potevo vedere i capodogli, le grandi balene di cui tanto avevo sentito parlare, passare sotto la barca. Sogno e realtà diventavano un'unica cosa. Avrei potuto giurare persino di aver visto una sirena!
Al ritorno, ad attenderci c'erano altri pescatori, che a ritmo di "oh-issa!" ci aiutavano a risalire la barchetta. I pescatori di Marina Piccola erano persone di poche parole, a volte un po' scorbutiche ma umili e oneste.
Dopo la morte del nonno sono sceso giù a Mulo solo saltuariamente.
Adesso a dire la verità mi fa un po' male stare lì.
I bambini sono diminuiti e non mi è capitato di vedere alcun ragazzetto giocare alle torri gemelle o col pallone (ormai banditissimo dai regolamenti). I tuffi invece vanno sempre di moda, ma solo da quei due scogli fuori la spiaggia grande.
Sullo scoglio delle sirene c'è molto più cemento di quanto ricordassi e molte rocce sono state "allisciate" da mano umana e ricoperte da sassolini cementati. Forse più eleganti ma sicuramente meno romantici. Anche "lo scoglio della zia" ha fatto questa fine e del resto non c'è più neanche la zia e le sue amiche a prendere il sole sugli asciugamani, ma una sedia a sdraio, di solito vuota.
Ancor più mi si spezza il cuore, quando scendendo non ritrovo più le tante barchette dai diversi colori e dai nomi più originali.
Gradualmente il numero è andato scemando. Tutte quelle che stavano sotto il ristorante Le Sirene, dove avevano la loro dimora da infinita memoria, sono state cacciate. In estate al loro posto troverete dei gommoni da fittare ai turisti. Durante la primavera di cinque anni fa, sono arrivate le forze dell'ordine che, per motivi a me sconosciuti, hanno sequestrato e poi distrutto la maggior parte delle barche che erano lì rimaste.
I tempi cambiano e anche Capri cambia...
Ma se scendete a Marina Piccola potrete vedere un ragazzetto dai capelli castani. Ha una barchetta di vetroresina, che gli hanno regalato da poco, e ama la pesca più di qualunque altra cosa.
Lo guardo e vedo gli stessi occhi e lo stesso sguardo saggio di mio nonno.
E penso, allora, che Capri è ancora viva e finchè c'è vita c'è speranza. Le uniche cose che dovrebbero cambiare sono quelle che non ci piacciono, non quelle che amiamo. E se amiamo qualcosa vale la pena difenderla a denti stretti e le autorità dovrebbero aiutarci.
Marina Piccola va difesa e vanno difesi tutti i luoghi dell'anima dei capresi.
Nella zona di Orrico, per esempio, gli anacapresi andavano fino a pochissimo tempo fa a caccia, a pesca, a raccogliere mortelle e asparagi selvatici, a fare scampagnate tra le varie pezze. Ora quasi tutta la zona è recintata. Nessuno si è preoccupato di provare a far valere un diritto di servitù pubblica?
Pare, addirittura, che nella zona di Materita sia stato chiuso un vecchio sentiero, da un nuovo latifondista... A noi sta bene?
Capri è nostra e se non la difendiamo, potremo consegnare alle future generazioni solo bei ricordi, perché l'isola non apparterrà più ai capresi ma a chi "ci ha saputo fare".

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